Nel lontano medioevo ci si poteva avvalere della “Protezione del mantello” che le nobildonne, e soltanto loro, potevano concedere, per misericordia, ai bisognosi e ai perseguitati. Era una difesa simbolica che consisteva nell’offrire riparo sotto il proprio mantello che era considerato inviolabile. Questa simbologia attorno al XVI secolo dopo la peste intercorsa tra il 1347 ed il 1353 subisce un significativo cambiamento: l’umanità intera cerca rifugio sotto il manto protettore della Mater omnium (la madre di tutti) – ossia la Vergine. Nasce l’iconografia della Madonna della Misericordia che custodisce sotto il suo mantello il popolo di Dio, come recita una delle preghiere più antiche della devozione cristiana a Maria, madre di Gesù e usata in tutti i più importanti riti liturgici cristiani: sub tuum presidum…sotta la tua protezione cerchiamo rifugio. L’arte sacra ha prodotto esempi di rara bellezza da quello del Ghirlandaio nella cappella Vespucci a Firenze a quello, purtroppo molto rovinato, dell’arco del transetto di Santo Stefano nella nostra cattedrale. Un’opera di straordinaria bellezza e delicatezza è quella di Giovanni Antonio de Sacchis detto il Pordenone che realizza per l’omonimo duomo della città friulana tra il 1515 e il 1516.
Al centro si trova Maria rappresentata in tutta la sua giovinezza che guarda verso i fedeli rappresentati in dimensioni ridotte rispetto agli altri personaggi e che accoglie dentro le pieghe del suo mantello che ha il colore del cielo. C’è posto per tutti sotto quel mantello: la nobildonna e la cameriera, il servo e il padrone, il curato di campagna e il vescovo. E’ la dimensione di un mondo intero senza nessuna differenziazione: Maria è Colei che si preoccupa di proteggere l’umanità dai mali del mondo stesso. E a coloro che ad essa chiedono aiuto lo stesso non viene negato, sotto le pieghe del suo mantello c’è posto per tutti. Accanto a lei San Giuseppe, che assume il ruolo del premuroso papà che tiene tra le sue forti braccia un piccolo Gesù Bambino che sembra volersi divincolare per andare incontro a coloro che stanno davanti all’immagine. Siamo tutti noi perché per noi soltanto è venuto a questo mondo. Dalla parte opposta un San Cristoforo che come vuole l’iconografia porta sulle spalle Gesù Bambino intento, questa volta, a vegliare sulla fatica del santo che è in difficoltò a guadare il fiume nel tentativo di arrivare alla parte opposta della riva. Il Bambino che in braccio a Giuseppe è nudo a simbolo dell’umanità di cui si è caricato; sulle spalle di Cristoforo è coperto da un drapo blu come il mantello della madre a simbolo della sua seconda natura: quella divina. L’accostamento dei personaggi non è casuale. Al centro Maria la madre che accoglie il nostro grido d’aiuto; accanto Giuseppe Colui che si è fidato di ciò che agli occhi della razionalità umana era impossibile ma certo che poteva esserlo per gli occhi di Dio e che ci invita a fare lo stesso; ed infine Cristoforo che invano aveva cercato l’uomo più potente del mondo e che quando gli era stato detto essere Cristo lo aveva cercato invano. Lo aveva trovato nella tenerezza di un Bimbo che davanti alla fatica e al venir meno delle forze lo aveva condotto al sicuro al di là della riva del fiume. Come non trovare similitudine al periodo difficile, incomprensibile, a tratti surreale e impensabile di questi giorni…. La delicatezza dei personaggi, la bellezza dei loro tratti somatici, la cura e la vivacità dei colori usati dall’artista unitamente al profondo significato iconografico che l’artista ha espresso aiutano anche noi a saper essere cristiani coraggiosi e sereni, non perché presuntuosi di non essere toccati dalla malattia, ma semplicemente perché fiduciosi come Giuseppe, sicuri di trovare rifugio tra le pieghe del mantello di Maria, generosi come San Cristoforo che di notte si alza per portare al di là del fiume un semplice Bambino senza esitazione perché al proprio bene, alla propria sicurezza, mette davanti il bisogno dell’altro.
Patrizia